[1.0] MATERICITÀ / ASTRATTISMO • con Paolo Mezzadri

I

                                                                              Penone // Matericità

Giuseppe Penone
 Pelle di Marmo su Spine d'Acacia, 2001


In “Pelle di Marmo su Spine d’Acacia”, opera riassuntiva di due fasi principali della produzione di Penone (la serie delle spine e la serie della pelle), una moltitudine di spine di acacia si accumula verso il centro, definito dal marmo, che metaforicamente rappresenta la pelle: parte che divide il corpo dall’esterno e, allo stesso tempo, lo identifica e lo definisce. Mezzo insostituibile per fornirci la conoscenza dell’universo, attraverso il tatto, senso che ci permette di toccare e verificare la veridicità di quello che abbiamo di fronte, senza possibilità di illusione, come potrebbe avvenire con la vista. Per Penone, infatti, la pelle è l'unico mezzo per poter conoscere la verità delle cose.





La nostra rielaborazione si basa sulla tensione data dalle spine di acacia che si accumulano verso la pelle di marmo, come se fossero attratte da quest'ultimo. Interpretandola come un’immagine aerea, ci siamo immaginati la fotografia di una folla che va verso la realtà oggettiva: la stessa pelle di marmo, la matericità che ci permette di sperimentare, elaborare e vivere, personalmente e oggettivamente, la realtà che ci circonda.

Nella "assonometria di rielaborazione" abbiamo quindi voluto rappresentare la pelle come un imponente edificio interamente di marmo, circondato da una folla che si ammassa e protrae verso di esso, in una sorta di pellegrinaggio verso questo blocco di marmo di Carrara, desiderosa di toccarlo con mano propria. L'idea di fondo è la propensione alla realtà della consistenza fisica e materiale, l'esperienza del tatto e del vivere l'oggettiva realtà, fatta di materia e esperienza personale.


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II

Capogrossi // Astrattismo Matriciale

Giuseppe Capogrossi
Superficie 210, 1957

In “Superficie 210” la forma matriciale arriva alla sua più elevata gestazione. Forme giocose e tribali caratterizzate dalla ripetizione e dalle loro infinite variazioni, collegate tra di loro o talvolta distaccate da forti tratti di colore. Il quadro è costruito in base all’alternanza di pieni e vuoti, segni di un’interiore organizzazione spaziale. L’apparente indefinibilità e indifferenza degli spessi tratti neri viene ordinata semplicemente mettendo tali tratti l’uno di fianco all’altro o leggermente separati tra loro, come in una composizione musicale di tema e contro-tema, ostinazione e ripresa.



La nostra rielaborazione si basa sullo studio delle singole forme matriciali, prese e ricollocate in un ambiente di pieni e di vuoti come può essere qualsiasi città costruita che si rapporta con il vuoto del verde urbano. Da quell’unica matrice prolifera e si sviluppa un campo pulsante di relazioni e forze visive. Viene espressa una ricerca di movimento che fa si che ogni parte si colleghi alle altre in un gioco di infiniti concatenamenti, così come si muovono le costruzioni all’interno di una città, tra differenze volumetriche e disegno astratto del territorio. 
Abbiamo voluto rappresentare le singole sigle matriciali come portatrici dell’identità della zona di studio, composta dalle molteplici commistioni di pieni e vuoti che si alternano lungo i lati dell’Aniene e che determinano l’irregolarità del tessuto.    

(lavoro svolto con Paolo Mezzadri)




















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